martedì 26 giugno 2012

Ad Angelo Mai

Ok, visto che non sono soddisfatta delle parafrasi trovate, ne pubblico una mia, fatta grazie a risorse del web e l'aiuto delle note del De Robertis contenute nei Canti di Leopardi edizione BUR.

O Italiano coraggioso, perchè non cessi giammai di svegliare dalle tombe i nostri antichi padri romani? e li conduci a parlare a questo secol morto, sul quale incombe tanta nebbia di noia?
E come, o voce antica dei padri, muta per così tempo, ora arrivi così forte ai nostri orecchi e così frequentemente? E perchè tanti risorgimenti? Improvvisamente gli antichi codici divvenero fruttuosi, gli abbandonati conventi conservarono nascosti, per l'età presente, le parole (i detti) magnanime e gloriose degli antichi.
E quale forza, o illustre italiano, ti infonde il destino? O forse il fato combatte con il valore umano?
Certamente non è senza l'alto volere divino che, quando la disperata dimenticanza di noi stessi è pesante e difficile da muovere, sempre una nuova voce dei nostri padri viene a percuoterci.
Ancora pietoso per l'italia è dunque il cielo, ancora ha cura di noi qualche divinità: poichè essendo questa l'ora, e mai se ne presenterà altra similie, di ripristinare il valore del genio degli italiani arruginito.
Vediamo, che è tanto e tale il clamore dei sepolti, (vediamo) uscire dalla terra gli eroi dimenticati, venuta così tardi, ti piace, o patria, esser così vile.
O gloriosi eroi  del passato conservata ancora qualche speranza su di noi? Non siamo completamenti morti? Forse a voi non si impedisce di conoscere il futuro. Io sono distrutto e non ho nessuna difesa dal dolore, ignoto è il mio avvenire, e tutto ciò che vedo è tale che la speranza fa sembrare sogno o favola. O anime degli eroi, nella vostra terra ha preso posto la plebe priva di onore; per i vostri discendenti tutto ciò che è prodotto in sede pratica e speculativa è ogetto di dileggio; dei vostri eterni meriti non hanno più nè vergogna nè invidia; vita oziosa si svolge intorno ai vostri monumenti; e siamo diventati esempio di viltà per l'età futura.
O Nobile ingegno(Dante), poichè ora agli altri non importa de nostri gloriosi progenitori, siano essi cari a te, a te a cui il fato aspira e soffia favorevole, così che, per merito tuo, presenti sembrano(cioè rivivono), quei giorni (umanesimo) quando dal lungo e triste oblio (medioevo) risorgevano insieme dagli studi gli antichi eccelsi, ai quali la natura, pur senza rivelare i suoi segreti, parlò direttamente, così da allietare i magnanimi ozi d'Atene e Roma.
Oh tempi, oh tempi morti per sempre! A quei tempi non era ancora prossima la rovina d'italia, ancora disprezzavano l'ozio marcio, e dall'itali l'alloro prevaleva più segni della sua grandezza.
Erano ancora calde le tue sante ceneri, nemico indomito della fortuna, al cui sdegno e dolore fu più amico l'inferno che la terra. L'inferno: e quale luogo non è migliore della terra?
E le dolci corde (della lira) vibravano ancora al tocco della tua mano, o amante sfortunato (Petrarca).
Ahimè la poesia italiana comincia e nasce col dolore. Eppure la sventura che ci addolora e meno grave del tedio che ci affoga. Oh te beato, a cui il pianto fu ragione di vita! Noi fin da la nascita ci cinse le fasce la noia; sia quando nasciamo che quando moriamo, risiede irremovibile accanto a noi il nulla.
Ma la tua vita era a quel tempo in compagnia di astri e mare, o coraggioso figlio della Liguria (Colombo), quando, oltre le colonne e ai lidi occidentali a cui parve, verso sera, udire stridere le onde all'immergersi del sole affidato agl'infiniti flutti dell'oceano, ritrovasti il raggio del sole tramontato, e il giorno che nasce nel momento in cui nei nostri lidi è giunta la fine; e superato ogni contrasto della natura, un immenso continenete sconosciuto fu motivo di gloria per il tuo viaggio e per i rischi del ritorno. Ahimè ma il mondo conosciuto (dopo le scoperte) non si ingrandisce, anzi rimpicciolisce, appaiono il mare, l'aria vibrante, la terra che ci nutre assai più vasti al fanciullo che al saggio.
Dove sono finiti i nostri sogni leggiadri riguardo dimore sconosciute, ignote popolazioni, riguardo la dimora degli astri durante il giorno, e del remoto letto della giovane Aurora, e del sonno del sole? Ecco d'un tratto svanirono, e descritto è il mondo in una carta piccola.
Ecco tutto è uniforme, e con la scoperta s'accresce il nulla. O caro immaginare appena giunti, il vero ti vieta a noi; da te sia allontana per semprela nostra mente; al tuo meraviglioso potere dei primi anni (infanzia) ci strappa il progredire dell'età, così che l'unico conforto dei nostri affanni perì.
Nascevi predisposto alle dilettose fantasie, ed eri giovane, cantore leggiadro di amori e battaglie, che in epoca meno infelice della nostra riempirono di rallegranti illusioni: Nuova speranz aall'itali! O torri, o celle, o donne, o cavalierim, o palazzi! pensando a voi in mille dolci sogni si perde la mia mente. Di apparenze, di leggiadre favole e insoliti pensieri si componeva la vita umana: in bando la cacciammo: ora che resta? Ora, dopo che la giovinezza è stat tolta al mondo? Il positivo e unico constatare che tutto è privo di senso al di fuori del dolore.
O Torquato!  A quei tempi, il cielo, con la tua nascita preparava a noi, il tuo alto ingegno, e a te, non altro che il pianto. Oh misero Torquato! La dolce poesia non bastò a consolarti e a sciogliere il gelo del quale l'anima, che era di sentimenti affettuosi avean circondato l'odio e la schifosa in vidia dei privato e dei tiranni. Anche amore, che è l'ultimo inganno della nostra vita, ti abbandona.
Ti apparve il nulla e il mondo come deserto.I tuoi occi non videro la tua tarda incoronazione (alla gloria poetica), ma l'ora della morte fu per te una grazia non una sventura. Chi conobbe il nostro mal, domanda la morte e non la corona d'alloro.  Torna, torna da noi, risorgi dalla tua silenziosa e desolata tomba, se sei desideroso di angoscia, o esempio pietoso di vita dolorosa e infelice. E' peggiorato molto il viver nostro da quello che ti parve così triste e così spregevole.
O caro, chi ti combiangerebbe, dato che per egoismo, ciascuno non ha cura che di se? Chi oggi non chiamerebbe folle la tua angoscia, se desiderare qualcosa di grande ed eccezzionale è chiamata follia, se ai sommi ingengi tocca non più l'invidia ma l'indifferenza? O quale alloro ti si preparerebbe nuovamente se oggi il computar è perseguito più della poesia?
Dopo di te, fino oggi, o sventurato ingegno, non è nato altro uomo. Degno del nome d'italiano non altri che uno solo, solo un fiero piemontese, immeritevole di vivere nella sua epoca codarda, al cui nel petto il virile coraggio venne dal cielo, non dall mia italia stanca e inaridita; per questa virtù, cittadino provato e indifeso (memorabile audacia), con le tragedie sulla scena combattè i tiranni. Almeno si conceda questa picola guerra e questo insufficiente campodi battaglia alle ire deboli degli uomini. Egli per primo e solo scese in  campo, e nessuno loseguì perchè l'ozio e il vile silenzio, oggi, importa ai nostri concittadini di più di ogni altra cosa. Aborrendo i tiranni e i vili e fremendo di sdegno contro di esi, condusse la vita intera, e la morte lo salvò dal veder di peggio. Questa terra e questa età non era per te. Altri tempi ed altra sede conviene agli alti ingengi. Oggi vivono soddisfatti dell'ozio e guidati da ideali mediocri: il sapiente è sceso, e la plebe è salita allo stesso livello, rendendo tutti uguali.
O famoso scopritore di opere antiche, continua la tua opera, risveglia i morti, pochè dormono i vivi, ridona la forza alle voci spente degli antichi eroi; così che, alla fine, questo secolo corrotto o aspiri a nuova vita e sorga a compiere azioni illusti, o almeno, si vergogni.

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