domenica 21 settembre 2014

Cicerone: Ad Familiares liber 12, 2

Vehementer laetor tibi probari sententiam et orationem meam; qua si saepius uti liceret, nihil esset negotii libertatem et rem publicam reciperare; sed homo amens et perditus multoque nequior quam ille ipse, quem tu nequissimum occisum esse dixisti, caedis initium quaerit, nullamque aliam ob causam me auctorem fuisse Caesaris interficiendi criminatur, nisi ut in me veterani incitentur: quod ego periculum non extimesco, modo vestri facti gloriam cum mea laude communicet. Ita nec Pisoni, qui in eum primus invectus est nullo assentiente, nec mihi, qui idem tricesimo post die feci, nec P. Servilio, qui me est consecutus, tuto in senatum venire licet; caedem enim gladiator quaerit eiusque initium a. d. XIII. Kal. Octobr. a me se facturum putavit, ad quem paratus venerat, quum in villa Metelli complures dies commentatus esset; quae autem in lustris et in vino commentatio potuit esse? itaque omnibus est visus, ut ad te antea scripsi, vomere suo more, non dicere.
[2] Quare quod scribis te confidere auctoritate et loqueantia nostra aliquid profici posse, nonnhil, ut in tantis malis, est profectum. Intellegit enim populus Romanus tres esse consulere qui, quia de re publica bene senserit, libere locuit sint, tuto in senatum venire non possint. Nec est praeterea quod quiqcuam exspectes. […]
[3] Quare spes est omnis in vobis; qui si  idcirco abestis ut sitis in tuto, ne in vobis quidem; sin aliquid dignum vestra gloria cogitatis, velim salvis nobis; sin id minus, res tamen publica per vos brevi tempore ius suum reciperabit. Ego tuis neque desum neque dero. Qui sive non referent, mea tibi tamen benivolentia fidesque praestabitur. Vale.

Sono oltremodo lietoche tu concordi con il mio punto di vista e con il mio discorso. Se mi fosse consentito parlare così un po’ più spesso, non ci vorrebbe un grande sforzo per ristabilire la libertà e la repubblica. Ma quell’individuo pazzo e criminale, mille volte più infame di quello di cui tu dicesti era stato ucciso il più infame degli uomini, sta cercando il momento buono per dare il via al massacro; e incolpandomi di essere stato l’ispiratore dell’uccisione di Cesare, non mira ad altro che a scatenarmi contro i veterani.Un pericolo, questo, che non mi fa paura, purchè esso accumuni la gloria della vostra impresa con i miei meriti. Intanto nè a Pisone, che è stato il primo ad attaccarlo, senza trovare consensi, nè a me, che ho fatto lo stesso trenta giorni dopo, nè a Publio Servillo, che ha seguito il mio esempio, è possibile recarsi in senato senza pericolo. Ciò che quel macellaio vuole è un massacro, e intendeva cominciare da me il 19 settembre; ed era venuto preparato allìappuntamento, dopo aver meditato per parecchi giorni nella casa di Metello. Figurati che meditazione, fra i bagordi e il vino! E così l’impressione di tutti, come ti ho già scritto, è stata non già che parlasse ma che vomitasse, secondo il suo stile.
Mi scrivi di avere fiducia che con la mia autorità e la mia eloquenza si possa ottenere qualche risultato concreto: e in realtà qualcosa si è ottenuto, se pensi alla gravità dei nostri mali. Ora il popolo romano si rende conto che ci sono tre consolari i quali, per la loro devozione alla repubblica e la franchezza della loro parola, non possono entrare senza pericolo in senato. Altro per ora non ti puoi attendere. […]
Dunque ogni speranza riposa in voi; ma se state lontani badano solo alla vostra sicurezza; neppure in voi. Se invece meditate qualche impresa degna della vosatra gloria, vorrei vivere abbastanza da vederla realizzata; e se ciò non fosse, la repubblica tuttavia riacquisteràò fra poco, per merito vostro i suoi diritti. Ai tuoi cari non manca e non mancherà il mio appogio. ricorrano a me o no, in ogni casoc ti è garantito il mio affettoe la mia fedeltà. Addio

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